Cosa hanno in comune la Cop26 e la Tassonomia? Risposta: le false illusioni. Entrambe sono partite con ambizioni condivise e scontate, salvo poi dover fare i conti con la realtà.
L’appuntamento di Glasgow aveva registrato, nei primi giorni di incontri, promesse condivise di stanziamenti miliardari per il Pianeta, per poi chiudersi con accuse reciproche di frenate e retromarce insostenibili.
La Tassonomia, ossia il Regolamento europeo che definisce cosa è green e cosa no, sembrava non dover mettere in discussione il fatto che certe attività fossero fuori gioco. Viceversa, la sua versione finale ha acceso le polemiche, in quanto ritiene sostenibili anche il gas naturale e il nucleare.
Queste false illusioni emergono nel momento in cui la sostenibilità deve tradursi in strumenti e progetti.
Per farlo, occorre comprenderne la complessità e partire, sostanzialmente, dal prendere atto che non esiste un’unica sostenibilità ma ne esistono molteplici: la sostenibilità di oggi contro la sostenibilità di domani, quella del giardino dietro casa e quella delle foreste dall’altra parte del mondo, quella che riguarda il mio nucleo familiare rispetto all’insieme dei dipendenti di una casa automobilistica, e così via.
Una serie di sostenibilità composte, a loro volta, da decine se non centinaia di variabili, le quali, a seguire, interessano una molteplicità sempre maggiore di stakeholder, ognuno dei quali è sempre più coinvolto ed interessato all’azione.
Per orientarsi e prendere decisioni occorre prima di tutto individuare di quale sostenibilità stiamo parlando, quindi saper comprendere ciò che è materiale al progetto che ci interessa e ai suoi stakeholder.
Soprattutto, e forse è la parte più difficile, occorre saper rinunciare al resto.